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lunedì 19 marzo 2012

Risotto al Chianti con radicchio e brebis



Buongiorno!

Sapete che a me piace leggere e scoprire, ma soprattutto, mi piace poi condividere con voi.
Oggi vi voglio lasciare da leggere la storia del risotto che ho trovato su risotto.it e che vi riporto letteralmente.

"Il risotto è nato a Napoli. Quest’affermazione, con qualche esagerazione, e una buona dose di approssimazione (due caratteristiche tipiche - secondo alcuni - dei napoletani) contiene in sé alcuni grani (si stava per dire: alcuni chicchi) di verità. Considerando infatti che il riso è il padre del risotto, va ricordato che l’uso alimentare del riso in Italia è incominciato a Napoli. Non che l’abbiano scoperto i napoletani, il riso: l’avevano portato fino al loro gli spagnoli (per la precisione: gli Aragonesi) nel XIV secolo. I napoletani cominciarono così a consumarlo come piatto unico: però non fu mai, per loro, unico quanto la pasta. Che proprio in quegli anni andava affermandosi e fermandosi stabilmente a Napoli. Il riso invece a Napoli non si trattenne, e nemmeno venne trattenuto; emigrò presto al nord, dove peraltro già lo conoscevano come farmaco e come ingrediente per dolci, e vi prese stabile dimora. Favorito in ciò dall’abbondanza d’acqua, per lui indispensabile per crescere bene. Fu così che l’uso alimentare del riso si affermò soprattutto nel settentrione d’Italia. L’abitudine di mangiare riso perciò non è per nulla napoletana. E ancor meno quella di preparare risotti. Più (e prima) che un piatto, il risotto è un modo di preparare il riso, che si chiama “cottura a risotto”. L’archetipo del risotto è il risotto alla milanese. E, come vedremo, non solo l’archetipo: anche il prototipo. La sua origine non è un giallo; è una leggenda. Il colore dipende dallo zafferano, pianta i cui fiori sbocciano in ottobre. La parte superiore dei pistilli (lo stimma) contiene una sostanza oleosa e aromatica. Gli stimmi vanno essiccati e macinati, fino a ricavarne una polvere gialla, un po’ amara e un po’ piccante. In Italia lo zafferano si coltiva poco, negli Abruzzi e in Sardegna. In Europa lo producono la Spagna e la Grecia, nel mondo le maggiori piantagioni di zafferano si trovano in India e in Iran. Dove la mano d’opera costa poco: una fortuna, dal momento che l’intera lavorazione dello zafferano è manuale. Per fare un chilo di zafferano si devono raccogliere 150 mila fiori, e ci vogliono 500 ore di lavoro. Lo zafferano si impiega in cucina (per il risotto di cui stiamo parlando, e per altro), ed entra nella preparazione di sciroppi e di liquori. E non si ferma qui; entra anche in chiesa. O per lo meno c’è entrato in passato. E proprio là ha dato vita al risotto alla milanese.E’ una bella storia, e bisogna raccontarla bene. A partire dal 1385 cominciarono a giungere a Milano artisti, architetti,artigiani, muratori, pittori, vetrai. Per dare il loro contributo alla“Fabbrica del Duomo”; un immenso cantiere che rimase aperto per decenni, fino ad esitare in quell’incredibile testimonianza del gotico fiammeggiante che sembra uscita dall’estasi di un mistico.Tra i convenuti c’era un fiammingo di Lovanio, tal Valerio Perfundavalle, di professione pittore di vetrate. Per conferire ai suoi gialli un tocco di brillantezza in più, Perfundavallle impiegava lo zafferano. A Milano si lavorava sodo fin d’allora, e lo spacco per il pranzo era piuttosto breve (non c’erano ancora i sindacati, del resto). Il nostro pittore pertanto si riduceva a mangiare un po’ di riso dalla “schiscetta”, sul suo ponteggio sospeso tra terra e cielo. Com’è e come non è, un bel giorno, causa un movimento maldestro, un po’ dello zafferano che serviva per le vetrate finì nel riso.La leggenda sorvola sulle reazioni del nostro eroe (avrà forse sacramentato in fiammingo, a bassa voce dato il luogo). Però….il riso colorato di giallo pareva proprio appetitoso. E il sapore? Perfundavalle esitò un istante. Poi si disse:che male può farmi? E’ una pianta! (Come la cicuta, NdR).Così l’assaggiò. Gli piacque molto. Da quel giorno le sue vetrate furono un po’ meno gialle, e il suo riso lo fu di più. La voce, com’è ovvio,si sparse. E lo zafferano passò in cucina. Come dire: dal croco al cuoco.Questa storia è sicuramente falsa, dalla prima all’ultima parola. Ma è suggestiva, perché mette insieme i due must di Milano: il Duomo, e il risotto alla milanese. Facendoli nascere nello stesso luogo, l’uno dall’altro.Le scatole cinesi non hanno fine: da tutto questo scaturisce – secondo un’altra leggenda – anche il nome“risotto”. Un umanista, assaggiando questo singolare riso giallo, pare abbia esclamato: “Risus optimus!”Leggende ed amenità a parte, è documentato che la “cottura a risotto” è una tecnica tutta italiana.Che non si facciano avanti i soliti cinesi (che ci stanno - stavolta - sulle scatole): che smacco per loro, inventori di quasi tutto, essersi fatti scappare un risotto giallo! O gli immarcescibili Arabi. I primi il riso l’hanno coltivato ed esportato, i secondi ce l’hanno condotto quasi fin dentro casa. Ma siamo stati noi italiani, con la creatività che il mondo ci riconosce, ad inventare e a rendere famoso il risotto.Certo è che nel 1791 il risotto in Piemonte era già un piatto tradizionale, anche se soltanto del bel mondo: i Savoia erano soliti farlo servire a mezzanotte, durante i ricevimenti che davano nei loro bei palazzi torinesi. A codificare il risotto così come lo intendiamo oggi fu peraltro un cuoco rimasto semi-anonimo, dal momento che di lui conosciamo soltanto le iniziali: L.O.G. ….Nessun discorso che si occupi di cucina può comunque prescindere dal citare, magari di volata, il grande Pellegrino Artusi. Il grande emiliano (forlimpopolese) …..per poter mettere bocca in tutto, mise in bocca tutto. Si deve a lui la classificazione dei risi in base alla cottura. Il risotto acquista così una sua specificità, cucinato - come dev’essere - in casseruola, con un soffritto al quale va aggiunto, poco per volta, del brodo.Ma non c’è autenticità senza certificato di garanzia. Il risotto c’ha pure questo; il suo imprimatur come capolavoro dell’arte culinaria italiana reca nientemeno che la firma di Auguste Escoffier. Quando parla, e scrive di risotti, il celebre cuoco francese non manca mai di definirli “una preparazione all’italiana”. E li descrive, abbinandoli ai luoghi d’origine (alla piemontese, alla milanese, alla fiorentina)".

Interessante vero?
Io metto da parte lo zafferano oggi e annaffio con il vino rosso, perchè ricordiamoci che "il riso nasce nell'acqua e muore nel vino".

Ingredienti (per tre persone):
280 gr di riso La Pila
2 cipolle
olio evo Dante
1 bottiglia di Chianti
6 foglie di radicchio rosso
Brebis
dado vegetale

Procedimento:
In una casseruola far appassire la cipolla tagliata fine con un filo di olio.
Aggiungere il riso e lasciarlo tostare.
Coprire con il vino e aggiungere un dado e le foglie di radicchio tagliate a pezzetti.
Lasciare cuocere lentamente aggiungendo poco alla volta altro vino quando necessario.
Due minuti prima di togliere dal fuoco mantecare con il brebis tagliato a cubetti.
Servire con due foglie di radicchio decorative.

Accompagnerei a questo risotto un buon Barolo DOCG - Bartolo Mascarello - Annata 2006 (che trovate su Guida-Vino.com)